14 secoli di campane a Verona

13.04.2012 15:49

RINTOCCHI DAL MEDIOEVO

Ludovico Moscardo, nella sua Historia di Verona, ci fa sapere che il giorno 21-XI-622 dai campanili della città si levarono suoni di campane a stormo per annunciare la morte dell'amato vescovo Mauro; pressappoco di quell'epoca è la famosa campana “dei temporali” conservata nel museo abbaziale di San Zeno a Verona. Di forma ottagonale, è considerata fra le più antiche fusioni europee. La prima notizia tecnica relativa alla fusione di più bronzi risale al 1149, quando il maestro Gislimerio prestò la sua opera per il campanile di San Zeno Maggiore, capolavoro del romanico. Quella di Gislimerio fu solo la prima delle oltre cinquanta fonderie che lavorarono a Verona lungo i secoli. In quel tempo le forme delle campane erano sperimentali, solo verso il 1200 furono compiuti studi più appropriati i cui risultati furono condivisi in ambito continentale. Fino al XIV secolo fra i migliori costruttori vi erano i veneziani, causa le conoscenze apportate dallo sviluppo industriale della serenissima città, ed operarono anche a Verona, fino a quando furono scalzati dallo scaligero Mastro Jacopo, uno dei più ragguardevoli fonditori del suo tempo. Ancora ammirabile al Museo di Castelvecchio è la campana, larga 130 cm e pesante 18 quintali circa, che fuse nel 1370 per la torre del Gardello a Verona: uno dei primi orologi a rintocchi del mondo. Nel secolo XV, quando la città si consegnò a Venezia, i fonditori scaligeri scarseggiavano e così troviamo artisti itineranti mettere a servizio la loro maestria per le nostre torri: di artefice germanico sono le campane che ancora oggi squillano dal già citato campanile di San Zeno e di scuola iberica quella civica di Malcesine. Un francese, il "signor Michel", diede avvio ad una propria scuola veronese che sarebbe continuata ininterrottamente fino al secolo XIX. Perfezionò gli studi sulla fonica delle campane, progettandone una forma che consentisse l'emissione di un suono piacevole e dalle componenti musicali precise. I suoi successori, come i Checcherle ed i Bonaventurini, con un'indole più mediterranea, proseguirono l'evoluzione studiando tecniche e stampi decorativi in grado di rendere questi strumenti anche raffinati pezzi d'arte figurativa.

 

IL RINASCIMENTO ED I COMPLESSI ARMONICI

Quando, nel XVI secolo, andavano comparendo i primi insiemi di campane che contavano cinque-sei voci, allora diventava bisognevole disporre di una nutrita schiera di elementi per suonarli. Il fenomeno interessò, inizialmente, quattro chiese: San Zeno, Santa Maria in Organo, Santa Maria delle Scala e Santa Anastasia, tutti monasteri in cui, a tirar corde, s'arrangiavano i confratelli. Testimonianza di quell'epoca è il nobilissimo Rengo, campana civica, fusa nel 1557 dalla dinastia Bonaventurini, capolavoro indiscusso che, con i suoi 4215 kg, gode tutt'oggi ottima salute. Questo è anche il tempo dei campanili in stile rinascimentale, come San Nazaro e Santa Maria in Organo, che abbelliscono la città. Un secolo dopo, fonditori come le famiglie Da Levo ed i loro allievi, tra cui Pesenti, avevano oramai preso l'abitudine di fornire complessi di campane accordate fra loro, spesso secondo l'accordo armonico fondamentale (es. do-mi-sol-do) o con il salto di quarta (es. do-fa-do). Realizzazioni significative furono quelle di Madonna di Campagna, San Bernardino, San Nicolò e la Cattedrale. Ed è proprio in quest'ultimo campanile che, al tempo, v'era già una formazione di suonatori laici residenti in periferia e stipendiati sotto forma di agevolazioni nell'affitto di terreni coltivabili. È supponibile che, per essere resi meglio orecchiabili, i segni di campane prevedessero una sorta di ordine nel rintocco delle stesse. Mentre i Da Levo avevano dato prova d'essere insuperabili nella realizzazione di bronzi di dimensioni medie e piccole dalle forme raffinate, il Pesenti realizzò nel 1653 la splendida campana civica di Bergamo, ancora oggi funzionante, del peso di kg 6.000. Successori di questo grande maestro furono i fonditori Derossi, Poni, Larducci e Micheletti, quest'ultimo chiuse i battenti nel 1804.

 

LA CODIFICA DEL SISTEMA VERONESE

A metà del XVIII secolo arrivarono altri tre complessi campanarii di un certo interesse, uno fuso dalla dinastia Crespi per il monastero di San Fermo, uno firmato Antonio Larducci per Santa Lucia (l'ultimo a richiamare gli stilemi della scuola rinascimentale franco-veronese) e quello del leggendario professor Giuseppe Ruffini per San Giorgio in Braida risalente al 1776: tutti ancor oggi completi dei loro cinque elementi in scala musicale. Crespi e Ruffini introdussero a Verona la forma “Manieristica”, nata sul finire del secolo XVI in area alpina e divenuta poi la base per nuove forme impiegate anche in epoca contemporanea. Nel contesto di San Giorgio in Braida, esemplare opera d'arte di raffinatezza decorativa nonché di precisione ed estetica musicale, si sviluppava un metodo codificato di suono delle campane che prevedeva la procedura di posizionamento dei bronzi con la bocca rivolta verso l'alto e la loro rotazione sincronizzata al fine di sequenziare i rintocchi secondo specifici spartiti. Forse non è un caso che questo "scalino" decisivo avvenisse proprio a San Giorgio, sosta d'eccellenza per i visitatori provenienti dall'Inghilterra, paese ove è praticato un metodo non dissimile dal nostro. Fra le prolifiche famiglie di ortolani che vivevano nelle corti sparse tra la Campagnola, Saval e Chievo, vennero scelte alcune persone di buona religiosità, orecchio musicale e capacità artigianali, perché suonassero e prestassero manutenzione presso il celestiale complesso di San Giorgio. Pare che questi siano stati i primi cultori dell'arte dei concerti a rotazione, incorrendo nelle antipatie dell'austero imperatore sacrista, Giuseppe II, ma pure negli apprezzamenti del Pontefice, che li ascoltò nel febbraio del 1782. La cittadinanza, dal canto suo, gradiva la loro musica, tantoché li ricompensava con generi alimentari: ciascuno dei nostri artisti, all'inizio dell'autunno, riceveva una "annualità" (polenta, salame e vino rosso, oltre ai piccioni che riusciva egli stesso ad abbattere in campanile) con la quale poteva sfamare la propria famiglia per quasi un mese. Del resto i sacrifici erano tanti: nei giorni solenni era richiesto di concertare all'alba per l'Ave Maria, poi per la messa principale, all'angelus di mezzogiorno, alla vespertina ed a notte inoltrata, terminata la veglia. Pressappoco in quell'epoca vennero sistemate anche le campane a Santa Maria in Organo, probabilmente ciò consentì di suonarle a concerto dato che varie testimonianze citano esecuzioni presso tale campanile. Fatto sta che, seguendo questo esempio, tutta la diocesi di Verona cominciò a disseminarsi di complessi di campane in completo pentacordo ed i "sangiorgini" erano espressamente mandati dai fonditori ad eseguire le inaugurazioni e fornire insegnamento agli apprendisti suonatori.

 

IL GLORIOSO OTTOCENTO

In città si attese il 1803 per avere un altro concerto di campane: quello della Santissima Trinità. Sorsero poi Chievo (1808) e, più tardi, Cattedrale, Santi Apostoli, Santo Stefano, San Salvatore Corte Regia e Santa Anastasia, ove, per suonare, nacque un gruppo formato dagli addetti che lavoravano sui molini natanti del fiume Adige, dietro l'abside della basilica. Questo divampo di passione fece si che potessero coesistere in città ben quattro fonderie di campane, gestite dagli altrettanti allievi del precitato Ruffini: Partilora-Selegari, Chiappani e figlio, e le due ditte Cavadini. Unico nefasto effetto fu quello dell'estinzione della più antica e profana tecnica del campanò (carillon) che consisteva nel suonare le campane percuotendole da ferme: e pensare che aveva avuto anche questa tradizione i suoi splendori ed i suoi maestri, come Vincenzi e Gardoni. Alcuni di loro "passarono" alla concorrenza, cominciando a darsi al suono a corda, un esempio su tutti fu Giacomo Milossi, già allievo di Gardoni, la cui abilità venne persino elogiata in uno dei sonetti celebrativi dei bronzi di Santa Anastasia. Nel 1820 arrivò il concerto per la parrocchiale di Tomba, seguito da uno, bellissimo, per il campanile di San Tomaso Cantuariense, indi toccò a Quinzano e Parona. Pure così successe alle Stimate, ove alcuni padri conventuali diedero vita ad un gruppo di campanari il cui maestro, Modesto Càiner, redisse nelle sue memorie quelle che sono le prime testimonianze che parlano in maniera precisa della tecnica di suono a concerto rotante dei sacri bronzi. Sempre della stessa fonderia, la Partilora-Selegari, sono le dotazioni dei campanili di San Lorenzo e di San Massimo, che fu il primo della regione a raggiungere la ragguardevole coralità di ben nove campane. Attorno al maestoso campanile neoclassico vide la luce una rinomata società campanaria parrocchiale. Nel 1846, a San Giovanni in Valle e tre anni dopo a San Nazaro, con l'installazione dei nuovi melodiosi concerti da parte della ditta Cavadini, sorsero gruppi di suonatori che cominciarono a contendere "la piazza" a quello di San Giorgio. Ma, intanto, anche le torri predisposte alla tecnica di suono aumentavano, ne sono esempio San Michele, S. Maria del Paradiso, San Paolo, Poiano ed Avesa, ove nacque un'altra formazione parrocchiale. L'unico fonditore di campane rimasto in attività dopo il 1850 era Luigi Cavadini, la cui ditta avrebbe operato fino al 1974. Con la rifusione della campana maggiore della SS.Trinità alcuni giovani della contrada formarono una società di concertisti locali che, però, non ebbe lunga vita, venendo assorbita dalla San Giorgio, al tempo guidata dai f.lli Peroni e da Giacomo Tomasini. Stessa sorte toccò ai Molinari. Nel 1882 altro afflato investì i campanili veronesi, con l'ampliamento degli insiemi campanarii degli Scalzi e Sant'Eufemia. Medesimamente avvenne a Santa Maria della Scala, vi nacque una squadretta di suonatori diretta da Pietro Sancassani (1881-1972) e, in seguito, dai futuri maestri Alberti, Oliboni e Signorato. Nel 1902 venne fuso il complesso per San Rocco, vi venne fondata squadra locale e, l'anno seguente, quello monumentale per il nuovo campanile di Cà di David ove, per l'inaugurazione, fu indetta la prima gara di suono. Questo evento fece si che tutte le squadre cittadine, ma anche alcune della periferia, come Chievo e Santa Lucia, si fondessero in un'unica formazione, aderendo alla più antica, la più prestigiosa: la San Giorgio in Braida. Questa, benché osteggiata in maniera tutt'altro che lecita, vinse l'ambito trofeo e tale circostanza, non scevra da polemiche e proteste, segnò l'inizio dei rapporti di accesa contrapposizione che sarebbero intercorsi tra i suonatori della città e quelli della provincia. Chiuse gli avvenimenti di rilievo cittadino di questa fase la fornitura dell'insieme per San Bernardino, anno 1907.

 

I CAMPANILISMI DEL NOVECENTO 

Nel 1914 la parte giovanile della "San Giorgio", ambiziosa, arrembante e da tempo insofferente dell'inattività degli anziani, si staccò e, sotto la guida di Sancassani, pose sede a Santo Stefano ed a San Tomaso, dandosi il ben eloquente titolo di "Audace". In risposta, dieci anni più tardi, la San Giorgio, rinnovatasi con l'inserimento di alcuni suonatori di San Paolo, mutava nome e sede diventando "Società campanaria di Santa Anastasia in Verona", ad omaggio dell'ampliamento a nove voci del nobile complesso ospitato dal magnifico campanile gotico. Il nuovo presidente sarebbe divenuto Mario Carregari (1911-1997). A sua volta, nel 1931, all'Audace riuscì di trasferirsi nella Cattedrale, assumendone il titolo. Ecco che, parallelamente alla prima guerra mondiale, cominciava un trentennio in cui una rivalità senza esclusione di colpi fra queste due compagnie sarebbe stata lo scenario della vita cittadina. L'unico gruppo pacifico era quello dei Santi Apostoli che, per giunta, durò poco. Ma questo fermento, di per se non ricalcante lo spirito apostolico, produsse anche un positivo "fiorire" di concerti campanari la cui installazione fu spesso promossa dalle due squadre: San Leonardo, quello imponente di San Nicolo all'Arena, Filippini, San Luca, Misericordia e Cattedrale che, con le sue nove voci in scala di La maggiore, la cui più grossa pesa 4566 kg, divenne il più grande concerto a rotazione manuale del mondo. Pure, il complesso di San Tomaso all'Isolo fu il primo della regione a raggiungere le dieci voci. Trattavasi di una rivalità tra "titani", poiché, sparpagliati nelle due fazioni, operavano coloro che ancor oggi sono considerati fra i più grandi intenditori, suonatori, direttori, compositori e manutentori di campane. La battaglia si combatteva anche sulle righe del pentagramma, portando alla composizione di nuove suonate più evolute, complete di pause, accordi e crome. La compagnia del maestro Sancassani che, più o meno, risultava vittoriosa nel lungo conflitto, viveva un'epoca paradisiaca: ma non era un paradiso tranquillo. Lo spirito turbolento dell'Audace, infatti, non aveva abbandonato i suoi componenti, anche se giovani non erano più e si chiamavano "Suonatori di campane della Cattedrale". I litigi erano all'ordine del giorno: un insuccesso in una gara, un disaccordo nella gestione della cassa, una proposta di pacificazione fatta all'avversario, una carica sociale non rinnovata. Ogni cosa, anche la più insignificante, soffiava sulle braci della discordia, non solo interna, poiché l'eterogeneo gruppo era formato da suonatori provenienti anche da San Michele, Tomba, Cà di David, Montorio e San Massimo. Fu così che da questa società, poi diretta da Accordini e Biondani, nacquero per gemmazione altre formazioni: la Santo Stefano, la Santa Maria in Organo ed il gruppo Sabaini-S.Eufemia che cessò l'attività per consumazione, per così dire, spontanea. Mentre il mondo era sconvolto dalla seconda guerra mondiale che spogliò -seppur temporaneamente- anche diversi campanili veronesi, i suonatori, ammansiti, stavano tornando tutti al nido originario (San Giorgio, ora Santa Anastasia) e la squadra era oramai rimasta l'unica padrona del campo, godendosi gli allori di dimostrazioni in tutt'Italia, inaugurazioni, incisioni, articoli, documentari, manifestazioni e riconoscimenti. Nel dopoguerra dotò la città di altri concerti di campane a Borgo Nuovo, Santa Toscana, Tombetta, San Giuseppe fuori le Mura, Golosine e Borgo Trieste.

 

CRISI DELL'ARTE CAMPANARIA

A partire dagli anni '50, i ritmi della società moderna investirono anche la marmorea Verona ed i suonatori di campane vennero contrastati sia dal disinteresse nei confronti della loro arte, sia dalla diffusione dei sistemi di suono automatico. Questa moda impedì così ai suonatori di poter continuare la loro tradizione. Oggi, nuovi sistemi avanzati tecnologicamente, prevedono la possibilità di suonare le campane elettricamente ed anche manualmente. Ciononostante diversi campanili non li hanno ancora adottati, restando legati ai vecchi sistemi di elettrificazione totale i quali, però, sono bisognevoli di una manutenzione più costosa e provocano sollecitazioni, particolarmente dannose per torri campanarie e campane. 

 

RINASCITA

Nel 1983, la nascita di un'associazione regionale dei campanari riuscì gradualmente ad invertire la tendenza negativa, ma non nella città di Verona, nella quale il lento declino sarebbe continuato ancora per un ventennio fino al momento in cui, un evento da sempre sognato ma, ormai, del tutto inatteso, avrebbe avuto luogo. I suonatori della città e dei sobborghi, che da sempre collaboravano, decisero di unirsi anche formalmente in un unico gruppo ed, oltre all'attività di suono, pensarono di esercitare in maniera corale anche la ricerca di nuovi allievi e la loro istruzione, potenziando il dialogo con la cittadinanza, il clero, gli enti pubblici e culturali. Molte energie vennero investite nella ricerca storico-tecnico-scientifica e nel settore di recupero dei campanili in disuso. La Verona campanaria venne completamente rivoluzionata e le cose migliorarono nel giro di poco. Addirittura, come ai vecchi tempi, vi fu chi venne ispirato a dotarsi di altre campane: fu così che sorse, a San Carlo, il più piccolo complesso su torre concertabile a metodo veronese. Non solo l'estinzione, temuta ed imminente, era scongiurata, ma a memoria di campanaro non si ricordava un periodo caratterizzato da tale produttivo entusiasmo. La squadra di San Giorgio in Santa Anastasia, ad indicare la vastità dell'ambito del suo servizio e la sua nuova vocazione divulgativa affiancò al suo nome quello di “Scuola campanaria Verona”.